Come si scrive una tesi di laurea? Come si struttura il lavoro e quali devono essere i contenuti? Gli studenti di materie giuridiche trovano qui una guida gratuita e completa. Chiunque abbia fatto uso del presente vademecum e lo abbia trovato utile, o abbia commenti che intende segnalare all’autore, può scrivere a massimiliano.granieri [at] unibs.it oppure usare direttamente la funzione di messaggistica di questo blog. Grazie.
1. Che cos’è una tesi di laurea.
Non è possibile dare una risposta generale alla domanda: “cos’è una tesi di laurea?” senza rischiare che sia una risposta generica. Infatti, ogni disciplina all’interno di una Facoltà e, ancor più, ogni Facoltà all’interno della formazione accademica rivendicano, come è ovvio, proprie specificità metodologiche, epistemologiche, contenutistiche, linguistiche.
A livello assolutamente generale, una tesi (preparata per una laurea triennale o magistrale) è un elaborato originale, attraverso il quale il candidato approfondisce un argomento dando, ove possibile, un contributo innovativo alla materia di cui si occupa. Originale vuol dire che il candidato deve produrre un lavoro che sia “farina del suo sacco”, a livello di ricerca dei materiali, di loro elaborazione, di esposizione dei risultati dell’indagine. I lavori “taglia e incolla” oppure la vera e propria tesi scritta da terzi, oltre a costituire un illecito che il docente anche meno avvertito sa riconoscere e può sanzionare in molti modi, rappresentano un’occasione mancata per lo studente. Peraltro, non è il caso di ricordare agli studenti di Giurisprudenza cos’è il plagio.
Gli studenti di Giurisprudenza in Italia (ecco la specificità della Facoltà, rispetto ad altre discipline) compiono un percorso pluriennale cimentandosi quasi mai con l’elaborazione di testi, con la scrittura. Gli esami sono pressoché esclusivamente orali, mentre la preparazione di tesine ed elaborati variamente denominati è attività troppo poco diffusa e dal carattere comunque occasionale perché possa costituire una adeguata palestra. Si tratta evidentemente di un paradosso, perché la professione del giurista, in tutte le sue possibili declinazioni (avvocatura, magistratura, dirigenza pubblica o privata, notariato, insegnamento) presuppone oggi l’utilizzo della scrittura e, dunque, la capacità di redigere documenti ben strutturati, efficaci, convincenti. La scarsa dimestichezza con la penna o con la tastiera si scontano in seguito, nei concorsi o nell’esame per l’abilitazione alla professione di avvocato, con risultati che le statistiche dei promossi o degli idonei non mancano di far risaltare.
Se si volesse rispondere alla domanda iniziale alla luce di questa premessa, occorrerebbe che lo studente intelligente riconoscesse che la tesi di laurea è, prima di tutto, una grande occasione di completare con successo un percorso e, allo stesso tempo, di mettere a punto le armi che serviranno per svolgere ogni mestiere in campo legale (e non solo) con decoro, professionalità e successo.
La ragione per la quale questo vademecum è stato predisposto è essenzialmente economica: costa troppo ripetere ogni volta cosa ci si attende da un tesista, soprattutto perché spesso bisogna ripeterlo molte volte alla stessa persona. D’altra parte, è anche umano che, lungo un cammino, non ci si ricordi bene della direzione, se non si dispone di una mappa.
Vi è, inoltre, una preoccupazione di tipo metodologico, cioè quella di veicolare, insieme ai contenuti di una materia, la forma migliore di esposizione. Molte professioni si possono svolgere senza argomentare o comunicare alcunché; la professione legale è, invece, essenzialmente argomentazione e comunicazione di contenuti. Non si tratta, dunque, di una preoccupazione formalistica; è una questione metodologica e sostanziale insieme; se questo punto non è chiaro, è opportuno rileggere il paragrafo 2 che precede.
D’altra parte, non ci si può lamentare dei risultati dello studente, se non ci si è assicurati in partenza che egli fosse consapevole del da farsi e, quindi, di cosa fosse una tesi di laurea in Giurisprudenza. Non vi è nessuna pretesa di insegnare alcunché a qualcuno, se il contenuto di questi paragrafi risulta scontato. Tuttavia, sapere cosa c’è da fare giova anche alla trasparenza, nell’interesse di tutti. Lo studente deve sapere su cosa esattamente viene valutato. I paragrafi che seguono contengono anche una lista dei criteri che servono al docente per dare un voto finale al lavoro di tesi.
Un grande Maestro del nostro tempo una volta diede una spiegazione operativa alla domanda iniziale. Disse su per giù così: che la tesi è un percorso del quale lo studente deve documentare tutti i passaggi, offrendo al lettore dieci pagine finali di adrenalina pura. Il Maestro non si offenderà se ci si permette di integrare minimamente quella provvida definizione facendola suonare così: una tesi di laurea è un percorso intellettuale originale, del quale lo studente deve documentare tutti i passaggi in modo rigoroso e logico, sostenendo scientificamente, ma impersonalmente, il proprio punto di vista.
Vediamo di dare un significato a questo enunciato.
2. Imparare un mestiere.
Scrivere costa fatica e scrivere bene richiede esercizio, cioè moltissima fatica. Ecco due dati sui quali non è facile dissentire.
La redazione di un documento presuppone l’organizzazione preventiva del percorso. Non si può disegnare su un pezzo di carta una mappa senza conoscere il punto di partenza e la meta desiderata. Una cattiva redazione è quasi sempre il sintomo di una insufficiente attività di raccolta, di organizzazione e di elaborazione dei dati. Nessuno ha mai detto che questo non costi fatica; l’esercizio, però, consente, col tempo, di diventare più veloci e di migliorare la resa (cioè, aumentare la qualità dei risultati, a parità di altre condizioni).
L’esercizio presuppone ripetizione. La tesi di laurea non è che l’inizio di una serie di innumerevoli lavori di scrittura; se questa affermazione non risulta convincente, il lettore ha scelto la Facoltà sbagliata. Una volta imparato il mestiere, le occasioni di riutilizzare il metodo che avete imparato non mancheranno. Se più tardi nel corso della carriera vi troverete a scrivere una tesi di master o di dottorato, avrete già gli strumenti; cambierà il numero delle pagine scritte e la qualità del lavoro. Il metodo, invece, è quello di sempre.
Con ciò non si intende dire che il metodo non sia perfettibile o adattabile alle esigenze di ognuno; le regole di base, però, restano quelle.
Che si tratti di una comparsa conclusionale, di un parere legale, di un articolo su rivista o di una tesi di laurea, lo scritto giuridico ha una caratteristica fondamentale: è un lavoro documentato.
Documentato significa che l’argomento che si sta affrontando (una legge, un istituto, un problema della prassi sociale) viene letto attraverso le norme (se ve ne sono), la giurisprudenza (che c’è quasi sempre), la dottrina (che non manca mai). Accertare cosa il legislatore, i giudici o i professori hanno detto a proposito dell’argomento che forma oggetto dello scritto è il minimo che ci si attende da un lavoro di tesi. Questa attività di accertamento deve risultare dal testo e dalle note; siffatta evidenza è esattamente ciò che si intende per documentazione.
Senza dimenticare che si vuole produrre uno scritto giuridico – del quale il diritto resta oggetto e referente privilegiato -, argomentazione giuridica non significa argomentazione legalistica. Il diritto è l’insieme delle informazioni che compongono un algoritmo complesso di funzionamento di un sistema qual è l’ordinamento dei consociati. In questo senso, il diritto è una scienza sociale; non l’unica. L’argomentazione giuridica può validamente ed efficacemente attingere ad altri campi del sapere, come l’economia, la sociologia, la linguistica, l’antropologia.
Sta alla sensibilità di chi scrive distribuire le informazioni raccolte in un testo che sia rigoroso, ma anche piacevole a leggersi. Le note a pie’ di pagina sono il luogo dove fornire un’indicazione bibliografica che altrimenti appesantirebbe il testo (cd. nota bibliografica), fornire un rinvio interno (note di rimando) oppure lo spazio per digressioni che altrimenti farebbero perdere il filo del discorso principale (note di discussione). Anche per quest’ultima ragione, è preferibile collocare una nota alla fine di un periodo o di una serie di periodi che servono ad esprimere un pensiero[1].
Bisogna andare a capo quando il discorso richiede un respiro del lettore, più profondo di quanto il semplice segno di interpunzione (un punto) non consenta; ciò succede tipicamente quando è conclusa la espressione di un certo concetto o l’esposizione di una data questione e ci si accinge ad argomentare ulteriormente, diversamente, oppure alternativamente.
Una cosa che non si fa quasi mai, poiché si è poco abituati a scrivere, è quella di rileggere ciò che è stato scritto. Poche persone hanno la capacità di redigere di getto un documento che non ha bisogno di revisioni. Siccome il lavoro di tesi è un lavoro scientifico, che richiede ri-flessione e ri-letture continue, è naturale tornare su quanto è stato scritto ed è necessario ogni volta rileggere, correggere, integrare, rileggere ancora.
3. Organizzare il pensiero.
Organizzare il pensiero è operazione preliminare e indispensabile ad ogni attività di scrittura.
La cosa peggiore, meno produttiva e più frustrante è iniziare a scrivere senza sapere bene cosa; si ha l’illusione che scrivendo si chiariranno le idee. Invece, nulla come la scrittura è in grado di svelarci quanto poco chiare siano le nostre idee e come possono persino complicarsi.
Prima di iniziare a scrivere, e dopo aver fatto le letture più importanti, è sempre utile avere un indice, ancorché provvisorio, molto dettagliato. Lungo il percorso si avrà modo di rivederlo diverse volte; non di meno è importante prefigurarsi una linea da seguire.
Preliminare all’indice e alle letture più importanti è la predisposizione di una bibliografia che andrà presentata e discussa con il docente. Sulla bibliografia si avrà dovrà tornare, perché la selezione e la raccolta dei materiali è un processo che continua quasi fino all’ultimo giorno. La bibliografia di una tesi di laurea può anche non esser dettagliata e completa come quella di un lavoro monografico per concorso a cattedra; però, il metodo per formarla e i criteri per organizzarla sono i medesimi.
Il metodo migliore per formare e gestire una bibliografia è quello concentrico: l’argomento della tesi è al centro e i materiali (norme, dottrina, giurisprudenza, altre fonti) vanno disposti, raccolti e letti, in ordine importanza, dal centro verso la periferia. Il criterio che si segue per la lettura è analogo. Nella preparazione della tesi, così come nella vita, il tempo non è mai abbastanza; iniziare dalle letture periferiche all’argomento non aiuta a ottimizzare il tempo, né giova alla chiarezza delle idee.
Organizzare il pensiero significa impostare correttamente i dati, sapendo che bisogna introdurre un argomento, esponendo la problematica che ci si propone di esaminare e le questioni che si devono risolvere. Siccome la mappa delle questioni non è completa, se non alla fine del lavoro, conviene scrivere l’introduzione per ultima.
Alla introduzione in apertura corrisponde una sezione conclusiva nella quale si riassumono i risultati del lavoro, li si commenta, li si critica, si dà evidenza della dimostrazione di ciò che si intendeva provare. Benché ogni parte del lavoro sia in grado di far emergere il punto di vista di chi scrive, le conclusioni sono solitamente il luogo in cui si può chiaramente esprimere un contributo personale, senza perdere di rigore e senza indulgere in sperticate esternazioni di un proprio punto di vista che non sia suffragato dai materiali raccolti e dall’esposizione che precede.
La parte centrale del lavoro è evidentemente la più importante, quella più documentata, quantitativamente più rilevante. Essa può essere contenuta in un capitolo o in più capitoli; la scelta dipende dall’autore. Trattazioni estese suggeriscono solitamente adeguate e bilanciate partizioni che facilitano la lettura e costituiscono la traccia del percorso che si sta compiendo. Questo può voler dire spezzare i paragrafi, usando intelligentemente i numeri, anche decimali, per la paragrafazione.
Uno schema di trattazione dei contenuti che si insegna nelle università statunitensi è il così detto IRAC, acronimo di Issue, Rules, Application, Conclusions, che stanno per: questione, regole, applicazione, conclusioni. Seguendo questo criterio, all’esposizione del problema segue l’indicazione delle regole, vale a dire la ricognizione del tessuto normativo che è parte dell’analisi e sul quale lo studente deve ragionare. La fase di applicazione, invece, è quella nella quale si ragiona sul problema, alla luce delle norme e, soprattutto, della giurisprudenza rilevante.
Un lavoro di tesi che non si misuri con la giurisprudenza è pressoché inutile, oltre che negativamente valutabile. È indispensabile chiedersi cosa i giudici hanno deciso su una determinata questione o su problematiche simili o limitrofe; in questo modo si verifica diacronicamente come una certa norma è stata applicata nel corso del tempo. Si devono individuare precedenti e raccoglierli, separando quelli favorevoli e quelli contrari ad una certa questione (normalmente, facendo precedere l’elencazione da un “contra”). Per quanto possibile, è necessario separare la giurisprudenza di legittimità da quella di merito.
È importante verificare se sull’argomento di tesi vi siano state o vi siano attualmente questioni di legittimità costituzionale, ovvero pregiudiziali o precedenti di natura comunitaria.
Nel preparare un lavoro comparativo non si può non svolgere lo stesso esercizio con le fonti straniere. Il medesimo criterio di organizzazione delle informazioni rivenienti dalla giurisprudenza deve essere seguito per l’esposizione della dottrina nazionale e straniera.
I materiali vanno letti criticamente e studiati, per essere utilizzati nella fase di elaborazione del testo.
Lo schema generale “introduzione-trattazione-conclusione” ha il vantaggio della modularità, cioè può essere utilizzato per impostare il lavoro nel suo complesso, ma anche per la trattazione di singoli punti all’interno di esso. Non è l’unico modo di trattazione, ma è un inizio. Si può sempre provare per scoprire un proprio metodo di esposizione.
4. Indicazioni operative
Prima di procedere alla redazione della tesi di laurea, il candidato è tenuto a leggere e studiare il presente vademecum, il quale va integrato con la lettura del regolamento per le prove finali vigente all’interno della Facoltà e disponibile sul sito internet di Giurisprudenza.
Per chiedere una tesi di laurea, è indispensabile avere una conoscenza operativa di almeno una lingua straniera.
L’argomento della tesi va concordato con il docente, tra quelli che il docente propone.
All’assegnazione della tesi, segue una fase di ricerca bibliografica e una serie di letture preliminari che servono alla redazione di un indice provvisorio. L’indice provvisorio deve essere discusso con il docente e approvato dal medesimo, prima che lo studente possa iniziare a scrivere. La bibliografia sarà contenuta in apposita sezione finale del lavoro di tesi, ordinata secondo il criterio ritenuto più opportuno dall’autore.
La consegna del lavoro avviene per intero e non per capitoli, sulla scorta dell’indice concordato. In ogni istante e per ogni questione, lo studente può fare riferimento al docente per confronti e per eventuali rivisitazione dell’indice. Il testo presentato viene discusso nel merito con il docente, che potrà proporre riscritture, approfondimenti, integrazioni.
Il testo presentato deve essere tendenzialmente completo e formalmente corretto. La presenza di eventuali errori grammaticali o ortografici concorrerà alla valutazione del lavoro. Il docente non è un correttore di bozze.
La redazione di una accettabile tesi di laurea richiede almeno quattro mesi di serio lavoro; gli studenti sono pregati di chiedere la tesi con largo anticipo rispetto alla sessione entro la quale ci si vuole laureare. È rimessa all’insindacabile decisione del docente ogni valutazione circa l’idoneità del candidato e del relativo lavoro all’ammissione ad una data sessione di laurea.
Per le citazioni bibliografiche gli studenti sono invitarsi ad attenersi alle seguenti indicazioni:
Se monografia: Nome (puntato) + Cognome autore (tutto maiuscoletto con iniziale maiuscola), se più autori, separati da trattino, Titolo opera in corsivo, città di pubblicazione, anno, pagina.
Esempio:
Mengoni, Successioni per causa di morte, vol. I, Milano, 1975.
Forchielli-V. Rovera, Il diritto patrimoniale della Chiesa, Padova, 1935.
- Se monografia, articolo, voce, o parte di opere maggiori (pubblicate in collane, trattati, commentari): tra virgolette caporali il titolo, seguito da virgola e “in” con il titolo dell’opera in cui è contenuta in corsivo:
– N. volume (facendo precedere il prefisso vol.) , n. edizione (esempio: 3a ed.)
– Città di edizione
– Anno di edizione
– Le indicazioni “a cura di”, “diretto da” vanno tra parentesi: (a cura di), (diretto da)
– Per ultimo va l’indicazione del numero di pagina con il prefisso p.; esempio: p. 243 ss.
– Se seguono nella stessa bibliografia più opere dello stesso autore, usare Id., …
Esempio:
T. Mauro, ‹‹Gli aspetti patrimoniali dell’organizzazione ecclesiastica››, in Il nuovo Codice di diritto canonico, (a cura di) S. Ferrari, Bologna, 1983, p. 243 ss.
AA.VV., I beni temporali della Chiesa in Italia, Milano, 1935.
Id., Alcune finalità del patrimonio ecclesiastico, Roma, 1977.
- Se articoli pubblicati su riviste: Autore (maiuscoletto), Titolo dell’articolo (tra virgolette caporali), in Nome della rivista abbreviato secondo lo standard seguito dal Foro italiano (corsivo), Parte della rivista (in lettere romane maiuscole), anno, p. (ovvero c. se la pagina è divisa in colonne con numerazione autonoma).
Esempio:
Irti, ‹‹Formalismo e attività giuridica››, in Riv. dir. civ., 1990, I, p. 1 ss.
Sacco, ‹‹Il sistema delle fonti e il diritto di proprietà››, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1970, p. 75.
Lener, ‹‹Forma scritta costitutiva e conclusione del contratto››, in Foro it., 1964, I, c. 1780 ss.
- Voci pubblicate su enciclopedie o digesti: Autore (maiuscoletto), Titolo della voce (tra virgolette caporali), in Nome dell’enciclopedia (corsivo), numero del volume (in lettere romane maiuscole, se l’enciclopedia si compone di più volumi), “a cura di” tra parentesi, Luogo di edizione, anno, p.
Esempio:
– A. Falzea, ‹‹Manifestazione (teoria generale)››, in Enc. dir., XXV, Milano, 1978, p. 442 ss.
– G. Osti, ‹‹Contratto››, in Noviss. Dig. it., IV, Torino, 1959, p. 462 ss.
– S. Patti, ‹‹Prova I) Diritto processuale civile››, in Enc. giur. Treccani, XXV, Roma, 1991, p. 1 ss.
– G.D. Pisapia, voce ‹‹Udienza››, in Trattato di diritto processuale penale italiano, (a cura di) G. Conso e G.D. Pisapia
- Saggi pubblicati in raccolte di scritti o studi in onore o in memoria: Autore (maiuscoletto), Titolo dell’opera (tra virgolette caporali), in Id. (maiuscoletto; da usare solo se la raccolta di scritti è pubblicata a nome dell’autore del contributo citato), Nome della raccolta di scritti o degli studi in onore o in memoria (corsivo), numero del volume (in lettere romane maiuscole, se esistono più volumi), Luogo di edizione, anno, p.
Esempio:
– N. Irti, ‹‹Formalismo e attività giuridica››, in Id., La cultura del diritto civile, Torino, 1990, p. 113 ss.
– R. Sacco, ‹‹Il sistema delle fonti e il diritto di proprietà››, in Studi in onore di Francesco Santoro-Passarelli, IV, Milano, 1972, p. 939 ss.
Per le citazioni di giurisprudenza, i criteri cui attenersi sono i seguenti.
- Abbreviazione dell’Autorità giudiziaria (secondo la tavola delle abbreviazioni già inviata, Corte d’Appello da abbreviare “App.”),
- giorno mese anno
- numero (se esistente)
- in Nome della rivista abbreviato (secomdo gli standard del Foro italiano)
- anno, Parte della rivista (in lettere romane maiuscole)
- (ovvero c. se la pagina è divisa in colonne con numerazione autonoma)
N.B: se manca la sezione dell’A.G. non separare la stessa dalla data della sentenza con virgole, ma tutto di seguito.
Esempio:
Cass., Sez. Un., 15 maggio 2000, 4718, in Giust. civ., 2000, I, p. 754 ss.
Cass. 19 aprile 1996, n. 3713, in Foro it., 1996, I, c. 2389 ss.
App. Torino 30 ottobre 1978, in Giur. it., 1979, I, 2, c. 135 ss.
Trib. Palermo 16 luglio 1997, in Nuova giur. civ. comm., 1997, I, p. 541 ss.
Pret. Genova 17 gennaio 1987, in Ass., 1987, II, p. 51 ss.
Ulteriori regole redazionali per altri materiali e fonti di diversa natura.
– Le sigle devono essere scritte con l’iniziale maiuscola e senza puntini.
Esempio: Apiet, Aipa, Ce, Consob, Coreco, Cosap, Fob, Ici, Irap, Irpef, Irpeg, Iva, Onu, Tarsu, Tosap, Ue, ecc.
– Gli enti, le istituzioni, le organizzazioni e tutte le denominazioni ufficiali devono essere indicati con l’iniziale maiuscola.
Esempio: Camera di Commercio, Commissione Tributaria Centrale, Comunità Europea, Corte di Cassazione, Corte Costituzionale, Corte dei Conti, Ministero delle Finanze, Tribunale, Unione europea, ecc.
– Gli estremi dei provvedimenti devono essere come segue:
- in forma estesa: art. 81, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917; legge 15 maggio 1997, n. 127; C.M. 14 luglio 1997, n. 127/E; R.M. 4 agosto 1999, n. 10.
- in forma abbreviata: D.P.R. n. 917/1986; legge n. 127/1997; C.M. n. 197E/1997.
- i riferimenti agli articoli e commi vanno riportati nella seguente forma: art. 1, comma 2; art. 5, comma 7; art. 3, cpv.
– Le citazioni testuali di intere parti di testo devono essere riportate tra virgolette caporali (‹‹ ››), mentre la riproposizione solo di parole singole o definizioni vanno tra virgolette inglesi (“ ”).
– Quando vengono citate le fonti ufficiali dei provvedimenti (Gazzetta ufficiale ecc.) devono essere riportati tutti gli estremi: numero e data della pubblicazione, numero dell’eventuale supplemento
Esempio: G.U. n. 305 del 12 dicembre 1994, s.o. n. 24
– Le date devono essere scritte per esteso
Esempio: 9 febbraio 1995
– Per le parole straniere si deve così distinguere:
se sono termini di uso comune (budget, report, standard, ecc.) si riportano in tondo;
negli altri casi (injunction, Restatement, ecc.) la parola va in corsivo.
– Le parole latine vanno sempre in corsivo, salvo che si tratti di una citazione riportata tra virgolette (in tal caso andrà in tondo tra virgolette).
5. Letture consigliate.
Per coloro che volessero approfondire le tematiche legate alla scrittura, tra i vari contributi disponibili si segnala:
AA.VV., Manuale di scrittura, Bollati Boringhieri, Torino, 1998.
Lesina, Il manuale di stile. Guida alla redazione di documenti, relazioni, articoli, manuali, tesi di laurea, II ed., Zanichelli, Bologna, 1994.
Eco, Come si fa una tesi di laurea. Le materie umanistiche, Tascabile Bompiani, Milano, 1977.
[1] Questa nota è un esempio. È una brutta abitudine quella di spezzare la frase in questo modo: “Alcuni autori sostengono che (1) … ”. In questo modo, il lettore è costretto ad interrompere la lettura perché incuriosito dalla nota. Tornando al testo, dovrà ricominciare da capo, cercando di non perdere il senso del discorso. Se la tecnica qui criticata viene adottata più volte nello stesso periodo, la lettura non sarà tra le più piacevoli.